La corsa di Renzi Matteo Renzi ha avuto la capacità formidabile di saper prospettare un cambiamento radicale al partito democratico e di assumerne la guida. Una volta riuscito in questa impresa impossibile, Renzi ha siglato quell’accordo con Berlusconi che avrebbe dovuto firmare subito Bersani dopo le elezioni. Un’intesa indispensabile per governare il Paese nelle condizioni di debolezza del quadro politico, come chiedeva il capo dello Stato. Se non fosse che il precedente governo di Enrico Letta aveva lasciato decadere Berlusconi da senatore e diviso in quell’occasione il suo partito per mantenere la sufficiente maggioranza. L’accordo ritrovato da Renzi con Berlusconi, per quanto sia saldo, si limita alla riforma costituzionale. Sul piano della politica economica - il governo Renzi non ha alcuna politica estera - Berlusconi ed i suoi sono liberi di dire quello che vogliono e salgono ogni giorno sulle barricate. Come si pensi di riuscire ad avere un qualche successo di crescita e ’occupazione, in condizioni del genere, poi, non lo sappiamo. Infatti, da quando Renzi è in sella, il trend di crescita italiana è rimasto immutato: zero. Ma se riusciamo a cambiare la Costituzione, eliminiamo questo anomalo bicameralismo perfetto, sono tutti convinti che la svolta sarà compiuta. Federico Geremicca su “la Stampa” di oggi ci spiega come si sia radicato addirittura un partito di coloro che dicono sempre "no" a priori, convinti che con l’immobilismo ed il rifiuto di ogni cambiamento, potranno conservare lo stato guadagnato di privilegiati. Geremicca magari ha ragione. Anche sotto il profilo dell’organizzazione del mondo del lavoro è lo stesso. Sindacati e lavoratori non capiscono, vedi la partita su Alitalia, che se non si cambia, non si salverà nessun privilegio. Ci si rovinerà e basta. Questo però non significa necessariamente che si debba cambiare comunque e a qualunque costo, che il cambiamento per il cambiamento sia positivo. Per lo meno, quando si tratta della riforma della Costituzione sarebbe il caso di promuovere un adeguato dibattito. E’ accettabile che la traccia della riforma sia stata discussa in segreto fra due soli leader in una stanza di partito? Non ha per lo meno diritto il Senato della Repubblica, a cui si chiede di suicidarsi, di discutere in maniera articolata su quanto si è deciso? Senza sollevare questioni di merito, che pure ci sono eccome, ne abbiamo una di metodo, per cui da una Costituzione discussa e approvata dal 90 per cento delle forze politiche del paese, si passa ad una che nemmeno il 50% dell’attuale Parlamento condivide veramente. Si, certo, possiamo ritenere che questo sia il partito del “no” ad ogni costo, che non ha nemmeno il pudore di evitare di rivolgersi al Quirinale di cui si chiedeva l’impeachment. E pure dovremmo prendere anche in considerazione una qualche ragione per spiegare tale opposizione, oltre alla difesa di particolari interessi. Perlomeno, non si dovrebbe riformare una Costituzione con un parlamento delegittimato da una sentenza della Consulta. Invece si vuole andare avanti a passo di corsa. Per carità, non c’è alcun autoritarismo, e la stessa riforma non è autoritaria. Siamo invece davanti ad un caso di disarmante sprovvedutezza, le cui conseguenze, saranno anche peggio. Roma, 25 luglio 2014 |